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22 settembre 2000

Il concerto si apre con la Sonata a 4 in mi bemolle maggiore intitolata al "Santo Sepolcro". E’ una pagina breve, di accenti intimi e raccolti, ammirevole per la pregnante e contenuta poesia che Vivaldi (1678 – 1741) sa trarre dagli archi. Segue il bellissimo Concerto in re minore per violino e oboe BWV 1060 di Bach (1685 – 1750), ricostruito dalla trascrizione per due clavicembali dell’autore stesso. Tra due Allegri estremi è incastonato un sublime Adagio, di tranquilla e profonda espressione.

Il programma si conclude con il Gloria in re maggiore RV 589 di Vivaldi, tra i lavori più noti e significativi del Prete Rosso. Si compone di dodici pezzi, tre dei quali risultano solistici: il terzo, Laudamus te, il sesto, Domine Deus, il decimo, Qui sedes ad dexteram. Uno, l’ottavo, Domine Deus, Agnus Dei, è in forma responsoriale, per voce solista e coro. Tutti gli altri sono esclusivamente corali. L’organico orchestrale annovera, accanto agli archi, un oboe e una tromba, impiegati nel brano introduttivo e nei due conclusivi.

13 ottobre 2000

La Sinfonia in si minore "Al Santo Sepolcro", delle ventitré di Antonio Vivaldi (1678 – 1741), è forse l’unica ancor oggi rimasta nel repertorio. Priva di qualsiasi ostentazione virtuosistica, si fa ammirare per la commozione del canto e la contenuta e intima sonorità. Segue il Concerto per violino RV 286 "Per la Solennità di S. Lorenzo". Si ritrova in esso quell’atmosfera del "rococò patetico" propria dei quadri del pittore veneziano Giambattista Piazzetta. La ricorrenza di San Lorenzo (10 agosto) si festeggiava a Venezia con una vera e propria "fiera". Aveva luogo presso la chiesa intitolata al Santo ed erano le monache benedettine dell’attiguo monastero a celebrarla "con gran pompa e sontuosa musica" e con "copiosi rinfreschi".

Nella vasta produzione sacra vivaldiana, Credo e Magnificat occupano uno spazio di assoluto rilievo. Scritto nella tonalità di mi minore, il Credo è suddiviso in quattro parti. La prima e l’ultima (Credo, Et resurrexit) sono in tempo Allegro mentre le parti intermedie, in tempo Lento, si soffermano sul mistero della morte e dell’incarnazione di Cristo.

Il Magnificat ci è giunto in duplice versione. La prima, quella in programma, privilegia l’elemento corale, e si intuisce nata dalle più intime urgenze del musicista veneziano che raggiunge qui vertici indiscussi della sua arte.

 

20 ottobre 2000

La maggior parte dei Concerti di Vivaldi (1678 – 1741) con titoli descrittivi appartiene alla categoria dei concerti solistici. Nel celeberrimo "La notte", per flauto traverso, il programma narrativo è evidente anche nei sottotitoli che accompagnano il primo Presto ("Fantasmi") e l’ultimo Largo ("Il sonno"). L’inquietudine suscitata dall’idea dei fantasmi è resa da Vivaldi con scale ascendenti e movimenti di terze che si rincorrono tra le parti. Il sonno, invece, è strumentato senza cembalo con gli archi che suonano con la sordina, creando una successione di accordi sospesi.

Lo Stabat Mater di Pergolesi (1710 –1736) è una delle poche opere sacre settecentesche rimaste sempre in repertorio. E’ caratterizzato da una estrema essenzialità di scrittura vocale e strumentale: due voci si contrappongono a un’orchestra d’archi a tre parti reali. Semplice, elegante e affettuosa è la vena melodica, tipicamente napoletana. Un ammirevole e ineguagliato equilibrio fra drammaticità espressiva e luminosa serenità formale fa pensare a quegli affreschi di Giotto nella Basilica di Assisi, che Pergolesi ebbe sicuramente modo di ammirare.

 

27 ottobre 2000

Il Concerto in re minore per due violini, violoncello, archi e continuo di Vivaldi (1678 – 1741) è notissimo, e appartiene alla raccolta denominata "L’estro armonico". Lo stacco incisivo dei temi, l’eleganza costruttiva conquistarono Bach che ne curò una trascrizione organistica. Lo Stabat Mater vivaldiano è una composizione serrata e densa, in cui l’autore raggiunge un notevole grado di unità utilizzando solo 10 delle strofe del celeberrimo testo di Jacopone da Todi. I tempi variano tutti dall’Adagissimo all’Andante, oscillando tra le tonalità di fa minore e do minore.

Del Kyrie RV 587 colpiscono gli arditi accordi modulanti e il disegno di arpeggi che nell’introduzione avanzano a grandi passi. Il Beatus vir RV 598 presenta, invece, un unico movimento a forma di ritornello di quattrocentoventi battute. Vi si ritrova una gamma di modulazioni e di affinità tematica fra ritornello ed episodio mai raggiunta nei modelli strumentali. Chiude il programma un brano senza solisti, Laudate Dominum RV 606, in cui il coro propone con affermativo canto sillabico il testo del Salmo 116.

15 febbraio 2001

Sul Requiem K 626 di Mozart l'Ottocento ha intessuto la sua leggenda romantica. Contribuì senz'altro la particolare circostanza in cui avvenne la commissione. Un giorno si presentò da Mozart un messaggero con una lettera anonima nella quale, dietro promessa d'un forte pagamento, si chiedeva la composizione di una messa funebre. La condizione per il pagamento del compenso era che l'autore, vale a dire Mozart, non cercasse di scoprire il nome del committente. Interpretando la richiesta quasi come un fatto soprannaturale, Mozart interruppe il Flauto magico, buttandosi a capofitto nella composizione del "suo" Requiem.
Il misterioso committente era solo il conte Franz von Walsegg, un musicista dilettante che ordinava clandestinamente musiche che faceva passare per sue. L'incarico avvenne nel luglio del 1791, ma Mozart non riuscì a portare a termine il lavoro, dapprima occupato da altre commissioni e poi raggiunto dalla morte. Costanza, la vedova, per riscuotere il compenso pattuito, fece completare l'opera da Süssmayr, ma ammise questo intervento solo dopo molti anni.
Al momento della scomparsa di Mozart la partitura così si presentava: i primi due brani ("Introitus" e "Kyrie") erano completati; i sei episodi della Sequenza erano completi nelle parti vocali mentre quelle strumentali erano solo abbozzate; il "Lacrimosa", però, si interrompeva all'ottava battuta; i brani "Domine Jesu Christe" e "Hostias" presentavano una traccia generale; del tutto assenti il "Sanctus", il "Benedictus" e l'"Agnus Dei".
Malgrado le "interferenze" di una mano estranea, il Requiem K 626 rimane la più alta conquista mozartiana nell'ambito della musica sacra. Al carattere fondamentalmente cupo dell'orchestra (corni di bassetto, fagotti, tromboni,) si contrappone il canto estatico delle voci, scevro da gesti teatrali e intriso di commossa "pietas" cristiana.